Non conoscevo la storia di Wladyslaw Strzeminski, e di questo ne faccio mea culpa.
Ma non basta battersi il petto, bisogna approfondire e nei prossimi mesi lo farò di sicuro.
Due gli spunti da cui traggo ispirazione per meglio conoscere le opere di questo grande artista:
Il primo un post su Fecebook della mia amica la fotografa Amelia Smolinska che non finirò mai di ringraziare per avermi “istruito” verso la conoscenza di un autore così importante, e secondo, il mio interesse per tutto ciò che accade aldilà della fatidica “cortina” di pregiudizi che separano il mainstream da quei territori che ancora oggi, per certi versi, definiamo “barbari”.
Come primo approccio alla conoscenza un film.
Il trailer del film:
Nell’edizione 2016 della Festa del cinema di Roma venne presentato «Afterimage» ultimo lavoro del regista Andrzej Wajda proprio su la vita di questo tormentato e talentuoso pittore che lo stesso Wajda descrive:
«Eppure fu uno degli artisti del mio paese di maggiore talento» … «allo stesso tempo volevo mostrare il suo conflitto con lo Stato socialista». Strzeminski credeva nell’arte astratta quando il potere pretendeva altro. I quattro anni passati sotto la lente del regista, 1949-1952, sono quelli in cui «la sovietizzazione della Polonia prese la sua piega più radicale, e il realismo socialista divenne forma obbligatoria di ogni espressione artistica», raccontava Wajda. Nel dopoguerra, Strzeminski insegnava all’Accademia delle Belle Arti di Lodz. «Gli studenti vedevano in lui il messia della pittura moderna, ma al ministero della Cultura avevano un’opinione diversa».
Fu espulso dalle Belle Arti, finì ad arredare le vetrine dei negozi
Non compromise la sua arte, si rifiutò di osservare i regolamenti del partito e venne espulso dall’Accademia. «Gli studenti continuarono a fargli visita, ad ascoltare la sua teoria dell’Unismo nelle lezioni in privato». Era amico di Chagall. Morì disoccupato e infermo, privo di un braccio e di una gamba. «Fu ridotto ad arredare le vetrine dei negozi, un uomo capace di tutto, fuorché di essere ordinario. La sua storia meritava di essere raccontata al cinema». Un visionario che ricorda come arte e potere non possano andare d’accordo; un simbolo della lotta per la libertà di espressione; cadde in povertà senza rinunciare al bene più prezioso: l’integrità. L’ultimo sguardo di Wajda è un inno alla libertà.
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