Una ricerca su parchi attrezzati dei bambini, condotta da Openpolis, vede la Calabria al tredicesimo posto e L’Abruzzo al primo.
Ma attenzione non serve costruire parchi attrezzati per i bambini senza educare gli stessi al rispetto verso la natura ed il prossimo, e soprattutto, all’integrazione.
Il fenomeno a cui assistiamo, da questo osservatorio, ci mostra una tendenza diffusa che declina l’uso dei termini “verde attrezzato” e “area gioco, area bambini” come concetti distaccati dal contesto sociale e dal concetto intrinseco del cosiddetto “verde , dal senso educativo che i parchi il giuoco possono avere nei momenti fondamentali della crescita dei bambini. Il “verde” di suo è già “attrezzato”, può accogliere, proteggere ed educare e non necessita di grandi attrezzature per diventare favola e giuoco, basta un solo albero per inventarsi una storia divertente. Non vi pare?
Una terminologia, quella usata, volutamente forzata. Come a dire che se mai i parchi non fossero attrezzati non avrebbero nulla da offrire. Ma sappiamo bene che non è così.
Il risultato di questa incomprensione è evidente nelle nostre città letteralmente invase da orribili scivoli di plastica o tristi cavallucci di legno eco-compatibili su molla (senza dimenticare che per la loro costruzione si sono abbattuti centinaia di alberi e consumato moltissima energia), orribili toys abbandonati a se stessi su “prati” di gomma (anti sbucciatura), usati pochissimo e che molto cari sono costati al povero contribuente padre di famiglia. Vivere e giocare all’aria aperta è un’atra cosa
L'”orto del nonno” è senza dubbio più divertente e la PlaySation vince su tutto.
Una altra questione è poi la discriminazioneche si attua nel creare aree per bambini e area per adulti, o addirittura aree per nonni. Una sorta di piccoli lager che devono stare ben distanti tra loro, contronatura. Come, peggio ancora, “aree per bambini con handicap” ed “aree bambini senza handicap”.
Dove sta l’intgrazione? Che società stiamo leggitimando?
Leggere i dati forniti da Openpolis ci dà una misura complessiva dell’interesse nazionale su un tema che, ahinoi, non è mai abbastanza discusso.
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Una delle prerogative riconosciute dalla convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è il diritto al gioco e al tempo libero. Si tratta di un aspetto centrale nella crescita sana del minore, cui devono essere garantiti spazi per giocare, frequentare gli amici e passare il proprio tempo libero in un contesto sicuro.
Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
In concreto, garantire questa prerogativa significa mettere in campo una serie di politiche pubbliche di diversa natura. A partire dalle quelle rivolte ai più giovani, con l’organizzazione di una rete di strutture e servizi extrascolastici, quali centri di aggregazione e spazi di ritrovo.
10,5% il verde urbano che nelle città italiane è classificabile come verde attrezzato di quartiere.
Ma nello specifico, quanto verde hanno a disposizione bambini e ragazzi che vivono nelle città italiane?
Una questione anche di pianificazione urbanistica
Si tratta di tendenze che in tanti casi sono anche l’esito di scelte urbanistiche stratificate nel tempo e che hanno avuto come conseguenza una compressione degli spazi verdi di quartiere.
Come abbiamo avuto modo di raccontare in passato, soprattutto nel secondo dopoguerra il rapporto tra costruzione di nuovi insediamenti e la predisposizione di aree verdi di quartiere è stato in molti casi storicamente conflittuale nel nostro paese.
In questo senso, è interessante osservare il caso della capitale. A Roma, le aree gioco censite nei dataset del portale opendata del comune si concentrano soprattutto nella periferia storica, consolidata nel corso del novecento. Zone spesso costruite con una elevata densità abitativa, dove probabilmente anche per questa ragione è stata più sentita la necessità di ricavare spazi gioco per bambini.